venerdì 26 agosto 2016

Il cammino Pellegrinaggio. Marina di Ascea Monte Sacro. 20/08/16

Tratto dal Racconto di Danilo Castellano https://ilsognatorepazzoblog.wordpress.com/

Ascea Marina/Monte Sacro, 19-20.08.2016 – Ultimamente ho vissuto esperienze che hanno messo a dura prova la mia integrità fisica, a cominciare dal bagno sotto la gelida cascata della Valle delle Ferriere, fino alla notte trascorsa all'addiaccio in cima al Molare del Faito, con solo una leggerissima copertina a farmi da scudo contro il vento incalzante. Dopo essere sopravvissuto all'inverosimile, abbinando le escursioni in montagna alle repentine e violente escursioni termiche, nulla mi ha fatto temere le acque del fiume Tenza che mi bagnavano i piedi durante l’ultima Chiena di Mezzanotte nel centro storico di Campagna. Come si suol dire: ciò che non ti uccide, ti fortifica… almeno fino alla tua prima bronchite che, ringraziando la mia buona stella, non è ancora passata a trovarmi. Ho oltrepassato soglie che fino a poco tempo fa non mi sarei mai sognato di varcare. E devo dire che non mi sono mai sentito più vivo di così! Ma stavolta è stata dura per davvero, per tutti noi. Oltre ogni immaginazione. Perché ci si è resi conto che la vera difficoltà non stava tanto nel macinare più di 26 chilometri, quanto nel superare un dislivello da capogiro: oltre 1700 metri di altezza, partendo dal livello del mare! Da Marina di Ascea al Monte Sacro. Un’impresa titanica
, impareggiabile almeno quanto la soddisfazione di raggiungere la tanto ambita vetta.
Ore 0.00 – Raduno a Marina di Ascea con Lello dell’associazione Elea Outdoor TREK & Sea, e partenza dal Piazzale della Ferrovia, dopo un breve preludio per il lungomare col mio amico Alessandro, tanto per sgranchire le gambe… La prima tappa del nostro percorso prevede un tragitto prevalentemente asfaltato. Muoviamo i primi passi, dopodiché ci separiamo dalla strada principale per percorrere l’antica “via del sale“. Il sentiero è rischiarato dalla magica e romantica luce lunare, che ci permette di risparmiare le batterie delle luci frontali, mentre lasciamo accese un paio di luci di
segnalazione, per non rischiare di essere falciati dalle auto che di tanto in tanto sopraggiungono. Di rado incontriamo qualche abitazione e attraversiamo piccoli centri abitati, dove tutti (o quasi) dormono già da un pezzo. Il silenzio surreale è rotto soltanto dalle nostre voci e dall'abbaiare di qualche cane. Un paio di quelli grossi (davvero grossi!) ci ringhiano contro, ma alla fine, forse intimoriti dalla nostra superiorità numerica, preferiscono lasciarci passare senza causare problemi. Costeggiamo alcuni borghi, tra cui Ceraso, Santa Barbara e Massascusa, fino alla prossima tappa: San Biase di Ceraso.


Ore 4.30 – Raggiungiamo San Biase con mezz’ora di anticipo sulla tabella di marcia. Piedi, caviglie e articolazioni già implorano pietà. Siamo ben oltre la metà del percorso, ma ciò che preoccupa è il fatto di aver raggiunto solo 3-400 metri dal livello del mare, mentre ancora 1300 metri all’incirca ci separano dalla vetta. Provati dal cammino finora affrontato e reso ancora più arduo dalla dura consistenza del manto stradale, ci riposiamo per una mezz’ora ai tavoli del baretto nella piazzetta del borgo, consapevoli che il peggio deve ancora venire. A riprova di ciò, un paio di escursionisti decidono di abbandonare l’impresa, lasciando il posto a due nuovi temerari,padre e figlio, che ci raggiungono in auto alle cinque in punto. Cambiati d’abito, consumiamo un pasto leggero per riprendere le forze, e alcuni di noi si concedono un rinfrescante pediluvio nella fontana della piazza, prima di rimettersi in marcia.
Ore 5.00 – Un sentiero pittoresco si snoda attraverso il borgo di San Biase. Camminando lungo fiumiciattoli e ponti, passiamo vicino a una sorgente di acqua sulfurea. Da lì in poi la pendenza aumenta e, unita alla fatica accumulata, la salita si fa sempre più impegnativa. Anche le batterie delle torce cominciano a perdere potenza, ma per nostra fortuna inizia ad albeggiare e a breve non ne avremo più bisogno. Incontriamo una nuova sorgente dove ci abbeveriamo e ci rinfreschiamo, sedendoci per qualche instante sulle comodissime panchine. Istanti che sarebbero potuti diventare un’eternità, distrutti come siamo. Ma non possiamo permetterci di poltrire. Abbiamo un programma da rispettare e bisogna rimettersi in cammino. A quel punto però siamo tutti provati, e la vista di una nuova rampa ad ogni svincolo e tornante ci getta nello sconforto. I piedi fanno un male cane, le articolazioni cigolano come vecchi cardini e gli zaini pesano come se fossero imbottiti di piombo. Inevitabilmente, rallentiamo il passo e giungiamo alla successiva tappa, il parcheggio in località Fiume Freddo, con un leggero ritardo rispetto a quanto programmato. Altri escursionisti si ritirano dai giochi, e di noi non resta che un esiguo drappello di valorosi pellegrini. Ore… chi se lo ricorda! – Sono troppo intontito persino per consultare l’orologio. Sento dire da qualcuno dei

“superstiti” che abbiamo appena toccato quota 1000 metri, e tanto mi basta. Una scalata di altri 700 metri nelle nostre condizioni si tradurrà in un vero calvario. Un cartello recita “Sentiero Novi Velia – Sacro Monte“. E’ la nostra ultima tappa, la più dura. Il vero cammino di fede. Il ragazzino partito con noi da San Biase si rivela una piacevole sorpresa, affrontando la scarpinata con energia, coraggio e determinazione unici al mondo. Come dimenticare uno dei suoi commenti più celebri: “Dopo questa passeggiata, voglio fare quella in Spagna… come si chiama… Compostela”. E’ davvero magnifico vedere un padre e un figlio condividere un’esperienza così emozionante, guidati dal puro amore per la natura e il trekking. Ormai manca poco. Il serpentone di pietra che si snoda interminabile fino alle cime del Gelbison non ci dà tregua.
 Le soste aumentano, brevi ma intense. Ogni ripresa è una sofferenza. Il passo da lento si fa claudicante. Avrei giurato che qualcuno di noi sarebbe stramazzato al suolo, prima o poi. Cosa che, grazie al cielo, non accade. Intanto, un ragazzo ci passa davanti in sella alla sua bici e, vedendolo, penso di avere le traveggole.
Bisogna esser dotati di una forza sovrumana per risalire il sentiero in quel modo. Proseguiamo imperterriti fino a incontrare il sole, dal quale ci lasciamo baciare approfittando di un’ennesima sosta con veduta panoramica. Provato dalla stanchezza e coccolato dai caldi raggi del sole, sprofondo nell'oblio per qualche istante, per poi essere richiamato ai miei doveri. Ritorno alla realtà come resuscitato dalla morte. Provo persino qualche dubbio sul fatto di trovarmi realmente lì. Poi realizzo, e faccio ricorso alle ultime energie rimaste, implorando la forza necessaria per affrontare l’ultimo breve ma interminabile tratto. Saliamo ancora e, poco dopo, ci ritroviamo sulla strada. Pensiamo che sia finita. Invece la strada continua a salire, per Dio solo sa quanto. Dobbiamo tirare dritto, finché le gambe ci reggono. Non possiamo arrenderci proprio in dirittura d’arrivo. La vista si annebbia. I piedi bruciano come arsi dalle fiamme dell’inferno. Il vero pellegrinaggio. Il vero cammino di fede… Non faccio che ripetermelo come un mantra. Arriviamo al parcheggio dei pullmann e delle autovetture. La vista del Santuario in cima al Gelbison ci è ancora preclusa. Inizia l’ennesima salita, e un cartello ci spiega che mancano 220 metri di lunghezza per 25 metri di dislivello da lì alla vetta, specificando che il percorso dura solo otto minuti e che la difficoltà è bassa. Certo. Bassa per chi è arrivato in auto fin lì. Per noi, invece, ogni passo è come camminare sui carboni ardenti. Una sofferenza senza fine. So che una volta su il dolore passerà di colpo, e sarò grato di ogni singolo passo compiuto, di ogni minuto trascorso con i miei fedeli compagni di viaggio. Ho fatto trenta e ora faccio trentuno. Le persone che incontro lungo la salita mi guardano con preoccupazione. Qualcuno se la ridacchia sotto i baffi. Profumati, impomatati e vestiti del loro abito della domenica, non hanno la minima idea di quello che abbiamo dovuto patire per giungere fin lassù. Ma non importa. E’ la mia impresa. Il mio momento. Il destino deve compiersi. Nulla viene lasciato a metà. Un negozietto di souvenir. Una rampa. Un altro negozietto di souvenir. Un’altra rampa. Un bar. Un ristorante. Una piazzola con una croce. E un ultimo leggero pendio, a separarci dal Santuario. Chi prima, chi dopo, siamo in sette a raggiungere la cima del Monte Sacro. Dopo oltre 10 ore di estenuante cammino… ci siamo! E quasi stento a crederci! Il Santuario della Madonna del Monte Sacro di Novi Velia è talmente gremito di persone, che non ho la forza di farmi strada nella calca per ammirarlo dall'interno e seguire le funzioni religiose. Non sono nelle condizioni ottimali per confondermi tra la folla. Ho bisogno di spazio per recuperare fiato e per sentire l’aria fresca sulla mia pelle. La Madonna capirà. In fondo, la nostra messa l’abbiamo già fatta. Il nostro devotissimo e provatissimo cammino di fede. Mi godo la vista. Impagabile. Ora tutto ha un senso, più di quanto potesse averne prima.
Ore 12.00 – La fame è abominevole. Si va a pranzo. Siamo gli ultimi tre escursionisti, io Alessandro e Lello, più la moglie di quest’ultimo, santa donna, che ci riporterà a casa in auto (non sarei risceso da lì per tutto l’oro del mondo, nemmeno rotolando). Il cibo ci dona un po’ di sollievo. Non tantissimo, ridotti come siamo alla stregua di un manipolo di zombie. Durante il rientro, il sonno incombe. Nemmeno le testate contro il finestrino mi smuovono più. Giunti a destinazione, salutiamo Lello (non prima di aver consumato del caffè e l’ottima crostata di sua moglie), ringraziandolo per la magnifica esperienza che, per quanto impegnativa sia stata, ci ha davvero ricolmato e arricchito nell’animo e nel cuore. Torniamo finalmente a casa. Una doccia veloce per scrollare di dosso le tonnellate di sudore accumulato in quelle ore. Infine, il letto. Un sogno che si avvera… Buio. Per un tempo indefinito. Il vero pellegrinaggio. Il vero cammino di fede. Un cammino che probabilmente non ripeterò mai. Ma sono estremamente fiero, felice e onorato di avervi preso parte. Grazie, amici miei! E alla prossima escursione. Speriamo, non tanto presto…

Nessun commento:

Posta un commento